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10 Meccanismi di difesa del sé. Con esempi

I meccanismi di difesa sono uno dei concetti della psicologia che spesso suscitano grande interesse, sia a livello professionale che nelle conversazioni al caffè. Queste strategie psicologiche sono essenzialmente gli stratagemmi che la nostra mente mette in atto per proteggerci da pensieri o sentimenti che potrebbero essere inquietanti o minacciosi. Non si tratta di semplici trappole mentali, ma di processi complessi che ci aiutano a gestire l’ansia, lo stress e le emozioni travolgenti. I meccanismi di difesa operano a livello inconscio, il che significa che spesso non siamo consapevoli di utilizzarli.

Quando si parla di meccanismi di difesa, si è obbligati a parlare di Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, che ha introdotto questo concetto, anche se è stata sua figlia Anna Freud ad approfondire lo studio dei meccanismi di difesa dell’io. Anna non si concentrò solo sugli aspetti teorici, ma fornì anche una dimensione più applicata, classificando questi meccanismi in modo da facilitare l’analisi clinica e l’intervento terapeutico.

La comprensione dei meccanismi di difesa non è solo un esercizio accademico o una curiosità intellettuale. È fondamentale per qualsiasi terapia psicologica, poiché ci offre una finestra sul modo in cui le persone gestiscono il loro disagio, i conflitti e i traumi. Inoltre, è uno strumento indispensabile per la psicoterapia, qualunque sia l’approccio teorico, perché in ultima analisi si tratta delle difese che ogni individuo ha costruito nel corso della sua vita.

Los mecanismos de defensa del yo.

Approfondiamo alcuni dei diversi meccanismi di protezione o difesa che la nostra mente utilizza secondo le proposte di Freud e di sua figlia Anna, fornendo alcuni esempi di ciascun meccanismo in modo che possiate comprenderli più facilmente (o anche rendervi conto se li state utilizzando e non lo sapevate)

Repressione

È uno dei meccanismi di difesa più noti e, di fatto, è stato Freud a inserire questo concetto nella mappa della psicologia. La repressione è in pratica il servizio di sicurezza personale dell’io. Quando ci sono pensieri, ricordi o desideri troppo minacciosi o fastidiosi da gestire, l’io li reprime, mandandoli nell’inconscio. Non è che scompaiano, semplicemente vengono immagazzinati in una sorta di cassaforte emotiva, lontano dalla coscienza.

Ma ecco la parte che ci interessa: anche se repressi, questi elementi non smettono di influenzare il nostro comportamento. Possono manifestarsi in modi indiretti, come sogni, dimenticanze o addirittura sintomi fisici. È come se questi pensieri repressi fossero fantasmi che infestano una casa, invisibili ma che fanno sentire la loro presenza.

Un esempio classico: Immaginate di aver vissuto da bambini un’esperienza traumatica con un cane. Potreste reprimere il ricordo per evitare il disagio che provoca. Tuttavia, potreste sviluppare un’inspiegabile fobia per i cani, senza ricordare perché vi sentite così. In questo caso, la repressione funge da protezione, consentendo di funzionare senza essere costantemente angosciati dal ricordo traumatico. Ma ha anche un costo, sotto forma di fobia.

Che cosa fare, dunque , contro la repressione? In terapia, uno degli obiettivi potrebbe essere quello di far emergere i pensieri o i ricordi repressi, in modo da poterli affrontare in modo più sano. Non è un processo facile, ma è un modo per togliere potere a questi fantasmi e permettervi di vivere in modo più autentico e meno limitato.

Spostamento

Se la repressione consiste nel mandare i pensieri o le emozioni in una“cantina” inconscia, lo spostamento è più simile al trasferimento in un’altra “stanza” In altre parole, si prende l’energia emotiva o l’impulso che si prova verso una persona o una situazione e la si reindirizza verso qualcosa o qualcuno di meno minaccioso.

Ecco la chiave: l’obiettivo originale dell’impulso può essere qualcosa che rappresenta una minaccia per il vostro benessere emotivo o addirittura per la vostra integrità fisica. Lo spostamento funziona quindi come un meccanismo di fuga, che permette di scaricare la tensione senza dover affrontare conseguenze negative dirette. Tuttavia, come altri meccanismi di difesa, lo spostamento ha il suo lato oscuro: si può finire per danneggiare relazioni o aspetti della propria vita che in realtà non hanno nulla a che fare con il problema originale.

Un esempio classico è quello del dipendente che ha una brutta giornata al lavoro, magari perché il suo capo gli ha urlato contro o perché è molto stressato. Invece di affrontare la situazione, che potrebbe comportare rischi come la perdita del posto di lavoro o il peggioramento dei rapporti di lavoro, questo dipendente torna a casa e sfoga la sua frustrazione sulla famiglia o sull’animale domestico. In questo caso, il dipendente sposta la sua rabbia su un bersaglio più “sicuro”, ma così facendo inquina anche l’ambiente domestico con emozioni negative.

La terapia può aiutare a identificare e gestire questi schemi di spostamento, consentendo di affrontare più direttamente le emozioni e le situazioni che li scatenano. In questo modo, non solo si riduce il carico emotivo su altri aspetti della vita, ma si affrontano in modo più efficace le cause del problema. Come sempre, la conoscenza di sé è la chiave per scoprire questi intricati paesaggi emotivi.

Proiezione

Vi è mai capitato di vedere chiaramente un difetto o un problema in un’altra persona, ma poi vi rendete conto che state descrivendo esattamente ciò che non vi piace di voi stessi? Questa è la proiezione al suo meglio. La proiezione è come uno specchio emotivo che distoglie l’attenzione dalle proprie insicurezze o difetti riflettendoli su qualcun altro. In breve, si attribuiscono le proprie qualità, soprattutto quelle meno attraenti, ad altre persone.

L’ironia della proiezione è che spesso le persone che lo fanno sono del tutto convinte che il problema sia in realtà l’altra persona. Per esempio, immaginate di sentirvi insicuri del vostro livello di intelligenza o di conoscenza in un gruppo di studio o al lavoro. Invece di affrontare e lavorare sulle proprie insicurezze, si potrebbe iniziare a criticare l’intelligenza dei propri compagni o colleghi, sostenendo che sono loro a non capire cosa sta succedendo.

Un altro esempio classico è la coppia in cui uno dei due partner è attratto da un’altra persona al di fuori della relazione. Invece di affrontare questo sentimento e capirne il significato, può accusare il partner di essere infedele o di avere l’intenzione di esserlo. È come dire:“Non sono io, sei tu” Ma in realtà il problema iniziale è della persona che proietta questi sentimenti.

E visto che parliamo di relazioni, ci sono anche casi in cui la proiezione riguarda qualità positive. Per esempio, potreste idealizzare qualcuno attribuendogli caratteristiche che desiderate per voi stessi. In questo caso, la proiezione diventa un modo per evitare il compito di sviluppare quelle qualità in se stessi.

Sebbene la proiezione possa offrire un sollievo temporaneo dalle emozioni difficili, spesso a lungo andare complica ulteriormente le cose, diventando a volte molto distruttiva. La terapia può aiutare a smantellare questi schemi proiettivi, consentendo una comprensione più chiara di sé e delle relazioni con gli altri.

Negazione

È il rifiuto totale di accettare una realtà troppo dolorosa o minacciosa da gestire. Non si tratta di semplice scetticismo o dubbio, ma di un rifiuto totale e assoluto di affrontare i fatti.

Ora, perché qualcuno dovrebbe farlo? Beh, la negazione non è necessariamente negativa di per sé. Anzi, può essere utile nel breve periodo. Immaginate di ricevere una notizia devastante, come una grave diagnosi medica. Un periodo iniziale di negazione può essere una sorta di “cuscino emotivo” che dà il tempo di adattarsi a una nuova e dura realtà. Ma come per molti meccanismi di difesa, il problema si presenta quando la negazione viene prolungata o applicata in situazioni in cui è molto importante affrontare la realtà.

Volete degli esempi, vero? Un classico è l’alcolista che insiste di non avere un problema di alcolismo, anche se questo si ripercuote sulla sua salute, sul suo lavoro e sulle sue relazioni. Negando il problema, evita il dolore emotivo che deriverebbe dal riconoscerlo, ma si priva anche di cercare aiuto e di migliorare la propria situazione.

Un altro esempio potrebbe essere quello di chi vive una relazione sentimentale tossica, ma si rifiuta di ammettere i segnali d’allarme, come il comportamento abusivo o l’eccessivo controllo. In questo caso la negazione funge da scudo, proteggendo la persona dal dolore emotivo che deriverebbe dall’accettare che la sua relazione non è sana. Ma questo scudo agisce anche come una barriera che impedisce alla persona di agire per cambiare la situazione.

La comprensione del rifiuto richiede empatia e autoesame. La terapia può aiutare a esplorare le radici del rifiuto e a trovare modi più sani per affrontare realtà dolorose o scomode.

Razionalizzazione

Piuttosto che negare una realtà o proiettare i sentimenti indesiderati sugli altri, la razionalizzazione cerca di spiegare il comportamento o le circostanze in un modo che li faccia sembrare più razionali, logici o socialmente accettabili. È come se il vostro Sé diventasse un avvocato difensore, creando argomenti per giustificare qualcosa che, nel profondo, sapete essere discutibile.

Il pericolo della razionalizzazione è che può essere incredibilmente persuasiva. Spesso le spiegazioni che creiamo sembrano così ragionevoli che ci crediamo persino noi stessi. E qui sta il rischio: se da un lato la razionalizzazione può alleviare il senso di colpa, l’ansia o il conflitto interiore, dall’altro può allontanarci da una comprensione più onesta e diretta di noi stessi e delle nostre azioni.

Per esempio, immaginiamo che qualcuno passi tutto il fine settimana a guardare programmi televisivi invece di studiare per un esame importante e poi venga bocciato. Potrebbe razionalizzare il suo comportamento dicendo: “Beh, avevo bisogno di una pausa, il professore non insegna bene comunque e un singolo esame non determina il mio valore” Sebbene ognuno di questi punti possa avere un fondo di verità, nel loro insieme agiscono come una cortina di fumo che evita di affrontare la realtà più diretta: la procrastinazione e la mancanza di preparazione.

Un altro caso classico è quello dell’“uva acida” nella favola di Esopo “La volpe e l’uva“. La volpe non riesce a raggiungere alcuni acini d’uva troppo alti sulla vite e razionalizza il suo fallimento dicendo che probabilmente l’uva era comunque acida. È un tentativo di far sembrare il suo fallimento meno doloroso cambiando la narrazione.

È naturale voler evitare il dolore emotivo o il conflitto, e la razionalizzazione spesso fornisce una rapida via d’uscita. Ma se questo meccanismo di difesa diventa uno schema ricorrente, può essere un ostacolo alla crescita personale e all’autenticità. In terapia, l’obiettivo sarebbe quello di identificare dove e quando si razionalizza, per poi esplorare le emozioni e le convinzioni sottostanti che guidano questo comportamento. In fondo, conoscere se stessi è il primo passo per qualsiasi tipo di cambiamento significativo.

Formazione reattiva

Questo meccanismo consiste nel trasformare un impulso, un desiderio o un sentimento inaccettabile nel suo opposto, spesso in modo esagerato.

Se la repressione è come mettere qualcosa in un cassetto e chiuderlo a chiave, la formazione reattiva è come mettere lo stesso oggetto in una vetrina e circondarlo di luci brillanti perché tutti lo vedano. Ma ciò che viene esposto è proprio l’opposto di ciò che si vuole realmente nascondere.

Passiamo agli esempi, che sono sempre illuminanti. Immaginate una persona che prova un forte risentimento nei confronti del suo capo. Invece di esprimere apertamente questo sentimento o di ammetterlo a se stesso, agisce con estrema gentilezza e deferenza nei confronti del suo capo. Potrebbe portargli il caffè ogni mattina o lodare costantemente le sue capacità di leadership. In apparenza sembra il dipendente del mese, ma in realtà sta usando una formazione reattiva per gestire sentimenti che ritiene inaccettabili.

Un altro esempio comune potrebbe essere quello di una persona che prova sentimenti omosessuali, ma li ritiene inaccettabili a causa della sua educazione o delle sue convinzioni personali. Questa persona potrebbe diventare un convinto sostenitore delle politiche anti-LGBTQ come modo per“dimostrare” la propria eterosessualità, sia a se stessa che agli altri.

Come si vede, la formazione reattiva può essere un meccanismo di difesa piuttosto elaborato e spesso ingannevole. Dall’esterno, può essere difficile capire cosa stia realmente accadendo. E dall’interno, la persona può arrivare a credere alle proprie prestazioni. La terapia può essere utile per svelare questi comportamenti, consentendo di affrontare e gestire in modo più sano gli impulsi o i sentimenti che si cerca di evitare.

Se si presta attenzione, si può notare che questo meccanismo assomiglia in qualche modo alla negazione. La differenza è che nella formazione reattiva, invece di vivere semplicemente voltando le spalle a un problema o a una situazione, cerchiamo di allontanarci il più possibile da essa.

Introiezione

L’introiezione è uno di quei meccanismi di difesa che all’inizio possono sembrare un po’ astratti, ma che sono incredibilmente rivelatori una volta compresi. In sostanza, l’introiezione consiste nell’interiorizzare qualità, atteggiamenti o norme di figure esterne importanti, come i genitori, i mentori o persino i gruppi sociali. È come se si prendesse un pezzo del mondo esterno e lo si incorporasse nel proprio senso di sé per gestire ansia, conflitti o insicurezza.

Questo meccanismo è particolarmente comune nell’infanzia. I bambini spesso introiettano le qualità dei genitori per sentirsi più sicuri e connessi. Ma non bisogna sbagliare, anche gli adulti lo fanno. Ad esempio, chi cresce in un ambiente in cui l’autonomia è molto apprezzata potrebbe introiettare questa norma al punto da sentirsi a disagio nel chiedere aiuto, anche se necessario. Oppure si pensi al classico caso della “sindrome dell’impostore“, in cui qualcuno introietta standard così elevati da pensare di non essere mai abbastanza bravo.

L’introiezione non è intrinsecamente negativa. Anzi, può essere un modo prezioso per imparare e adattarsi. Tuttavia, quando le qualità o gli standard introiettati sono dannosi o non realistici, può portare a problemi emotivi e comportamentali. Se si cerca sempre di essere all’altezza di aspettative interne impossibili da raggiungere, ci si espone a continui fallimenti e delusioni.

Un altro esempio potrebbe essere quello di chi è cresciuto con un genitore molto critico e ha introiettato quella voce critica. Anche se il genitore non è più fisicamente presente, quella voce critica interna persiste, portando la persona a essere eccessivamente dura con se stessa in varie situazioni.

In terapia, uno degli obiettivi sarebbe quello di identificare ciò che abbiamo introiettato e come questo influisce sulla nostra vita e sul nostro benessere. Da lì, si può lavorare per smantellare o modificare queste interiorizzazioni in modo che siano più in linea con il proprio sé autentico e con i propri bisogni e desideri. È un viaggio affascinante alla scoperta di sé, ed è sempre gratificante quando qualcuno riesce a sostituire un’introiezione dannosa con qualcosa di più positivo e benefico.

Isolamento

È la tattica del Sé di separare un pensiero dall’emozione o dall’ansia ad esso associata, quasi a dissociare il contenuto emotivo da quello cognitivo.

Questo meccanismo può essere particolarmente utile in situazioni estremamente stressanti. Per esempio, i professionisti del settore medico devono spesso ricorrere a una forma di isolamento per separare le loro emozioni dal compito immediato, come l’esecuzione di un intervento chirurgico complicato. In questo tipo di situazioni, l’isolamento è fondamentale: permettere alle emozioni di interferire potrebbe avere gravi conseguenze.

Ma come tutti i meccanismi di difesa, anche l’isolamento ha il suo lato oscuro. Se usato in eccesso o in contesti in cui è fondamentale gestire le emozioni, può portare a problemi. Immaginate di affrontare una rottura dolorosa ma di costringervi a considerarla semplicemente come un evento che “doveva accadere” o “è la cosa migliore per entrambi“, eliminando il dolore o la tristezza che provate. Potrebbe sembrare che vi stiate adattando bene, ma in realtà state evitando di elaborare emozioni importanti che alla fine dovranno venire a galla.

Un altro esempio potrebbe essere quello di chi vive un evento traumatico ed è in grado di parlarne con totale distacco emotivo, come se stesse raccontando la lista della spesa. Questo distacco emotivo può essere sconcertante per gli altri e, soprattutto, può essere un ostacolo all’elaborazione emotiva a lungo termine e alla guarigione.

L’isolamento è un’arma a doppio taglio. Può essere un salvavita in situazioni in cui l’obiettività è fondamentale, ma un ostacolo quando ci impedisce di affrontare ed elaborare le nostre emozioni. In terapia, il lavoro consiste nell’identificare quando e come si utilizza l’isolamento e nel trovare modi più sani e completi per gestire lo stress e il dolore emotivo.

Fantasia

chi non ha mai sognato a occhi aperti di vincere la lotteria, diventare una rock star o vivere un’avventura epica? La fantasia come meccanismo di difesa è fondamentalmente una forma di evasione, un modo per allontanarsi dalle realtà meno piacevoli della vita e ritirarsi in un mondo immaginario dove tutto è possibile e, di solito, tutto è molto meglio.

Ora, sognare a occhi aperti di tanto in tanto è del tutto normale e persino salutare. È una forma di riposo mentale e può essere fonte di creatività e ispirazione. Il problema sorge quando sognare a occhi aperti diventa una sorta di rifugio costante dall’affrontare problemi reali, responsabilità o emozioni spiacevoli. Se si immagina sempre di essere l’eroe che salva la situazione invece di affrontare il fatto che si hanno problemi sul lavoro o in una relazione, è possibile che si usi la fantasia come meccanismo di difesa.

Per esempio, uno studente che non va bene a scuola potrebbe sprofondare in fantasie in cui è un genio incompreso o un atleta di punta, invece di affrontare i problemi che incidono sul suo rendimento scolastico. Oppure chi ha una relazione insoddisfacente potrebbe perdersi in fantasie romantiche con un’anima gemella immaginaria, invece di affrontare i problemi della sua relazione attuale.

La fantasia diventa problematica quando sostituisce l’azione e l’impegno nel mondo reale. È come se si guardasse la vita da una finestra invece di uscire e viverla. In questo caso, la terapia può aiutare a capire come e perché si utilizza la fantasia come meccanismo di difesa. L’obiettivo non è quello di eliminare la capacità di sognare o immaginare, ma di aiutarvi a utilizzare questa energia creativa in modo da arricchire la vostra vita reale piuttosto che sostituirla.

Regressione

Quando la vita diventa complicata o stressante, si tende a regredire a fasi precedenti dello sviluppo in cui le cose erano, o almeno sembravano, più semplici. Non intendo dire che si ricorre a pannolini e ciucci, anche se questo sarebbe portare la regressione all’estremo, ma a comportamenti e atteggiamenti più sottili che corrispondono a fasi precedenti della vita.

Per esempio, un adulto che sta attraversando un periodo di stress sul lavoro potrebbe iniziare a mangiarsi le unghie, un’abitudine che aveva abbandonato anni fa. Oppure una persona che sta affrontando un cambiamento di vita significativo, come un divorzio o la perdita di una persona cara, potrebbe iniziare a dormire con un peluche o una coperta dell’infanzia. Dal punto di vista emotivo, si può notare che una persona diventa più bisognosa e cerca conforto in modi che sono tipicamente associati all’infanzia, come il desiderio di essere abbracciata o di ricevere affetto in modi più visibili.

Laregressione diventa un problema quando questi comportamenti interferiscono con la capacità di gestire efficacemente le responsabilità e le sfide della vita adulta. Immaginate di essere così stressati da iniziare a saltare il lavoro per restare a casa a guardare i cartoni animati tutto il giorno: questo sarebbe un segno che la regressione sta influenzando il vostro funzionamento.

In terapia, l’obiettivo sarebbe quello di identificare i fattori scatenanti di questa regressione e trovare modi più adattivi per gestire lo stress o l’ansia. A volte questo potrebbe comportare lo sviluppo di nuove capacità di coping. Altre volte, potrebbe essere necessario esplorare le questioni irrisolte delle fasi precedenti della vita che potrebbero contribuire al desiderio di“regredire” nel tempo.

L’aspetto interessante è che questi meccanismi non sono intrinsecamente negativi. In molti casi, sono adattivi e necessari per la salute mentale. Ma diventano problematici quando vengono utilizzati in modo eccessivo o inappropriato, il che può portare a problemi relazionali, all’autoinganno e, in casi estremi, a disturbi psicologici. In psicoterapia, parte del lavoro consiste nell’aiutare le persone a riconoscere e comprendere i propri meccanismi di difesa, in modo che possano trovare modi più sani per gestire lo stress e l’ansia.

Che cosa possiamo imparare da tutto questo? Innanzitutto che questi meccanismi esistono per un motivo e hanno uno scopo. In secondo luogo, che l’autoconsapevolezza è fondamentale. Comprendendo quali meccanismi si stanno utilizzando, si può iniziare ad affrontare le preoccupazioni sottostanti in modo più diretto e sano.

Ismael Abogado

Ismael Abogado

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